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Sala 1 - Luna Lunedda


Ad accogliere il visitatore nella prima sala sono le luminarie delle feste patronali, icone policrome degli attesi appuntamenti stagionali con le figure tutelari del sacro, con il corredo di segni e simboli della religiosità popolare. E sullo sfondo dell’ampia vetrata istoriata con i motivi arcaici dei manufatti pastorali in trasparenza, come vetrate gotiche, a dominare la scena la figura quasi ieratica del pastore-suonatore peloritano. Ad introdurre all’universo sonoro popolare è una ricca collezione di strumenti giocattolo, con funzioni ludiche e cerimoniali. Dall’alto porge lo sguardo il singolare spaventapasseri sonoro, il cosiddetto Firrigghiddu. Un’ampia sezione è dedicata poi alla millenaria storia del Casale di Gesso, legata indissolubilmente, per secoli, all’estrazione del solfato di calcio, ovvero al minerale che, cotto e polverizzato, produce appunto il gesso, ibbisu, da cui deriva il toponimo del villaggio, risorsa primaria per il lavoro e l’economia della comunità per secoli. E sul tema il visitatore entra in contatto, grazie a pannelli didascalico-fotografici e utensili di lavoro, con questo mondo perduto, singolare espressione di lavoro e cultura del territorio peloritano.




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Strumenti musicali giocattolo – giocattoli sonori – strumenti da suono effimeri – fischietti rituali, monotonali e bitonali, di terracotta, acromi e policromi – trottole di legno sonore.


Il viaggio attraverso il paesaggio sonoro della tradizione ha inizio con una cospicua collezione di strumenti musicali e da suono, destinati al mondo infantile, con funzioni ludiche, ma anche cerimoniali. Si osservano così i piccoli tamburi a cornice, quelli a bandoliera, anche nella versione seriale di materiale sintetico, che hanno sostituito nelle bancarelle delle feste patronali quelli artigianali di legno, con pelli di capretto, assieme alle papere o alle ruote sonore in plastica, che hanno invece espulso il pulcinella che batte i piatti, realizzato un tempo con materiale povero, da riciclo. Di assoluto rilievo, anche per la memoria archeologica a cui rimandano (facevano parte infatti nell’antichita’dei corredi funebri infantili), i fischietti di terracotta, antropomorfi e zooformi, policromi, non solo quelli di Caltagirone. Ci sono poi degli esemplari dai tratti grossolani messinesi, di argilla fatta essiccare al sole, di cui due doppi, dei primi del Novecento si conservano in un museo di Berlino. C’è ancora il singolare il fischietto votivo di S. Michele, patrono di Caltanissetta, e quello di S Vitaliano, patrono di Catanzaro. E per restare in Calabria, ecco i fichetti ad acqua, che i messinesi compravano per la festa reggina di S Maria della Consolazione, a settembre. E a proposito di fischietti ad acqua in Sicilia vantiamo una sola testimonianza,  quello di canna di S Marco d’Alunzio, che i bambini suonavano in gruppo, in segno di festa, la notte di Natale. Ci sono pure le zampognette di canna giocattolo (due canne) messinese, diffuse soprattutto nel periodo di Carnevale. Non mancano poi le raganelle, anche metalliche, seriali, così come delle trombette in legno tornito, ad ancia semplice, policrome, e il pulcinella burattino con trombetta, tipico della festa di S Agata, patrona di Catania.


IDIOFONO

SPAVENTAPASSERI SONORO


La girandola crepitante.

Singolare poi lo spaventapasseri sonoro, il cosiddetto Firrighiddu, una girandola di strisce di canne messa in moto dal vento, il cui movimento rotatorio aziona un battente, producendo un suono crepitante, allontanando gli uccelli dai campi coltivati. 

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LA STORIA MILLENARIA DEL CASALE DI GESSO


Una sezione documentaristica fotografica è dedicata alla millenaria storia del villaggio Gesso, e alle più significative tracce del suo passato, con la riproduzione di due antiche pergamene, una del Trecento e una del Cinquecento, quest’ultima proveniente dal Monastero S Gregorio di fondazione normanna. Ad introdurci poi  alla conoscenza dei tanti suonatori di tradizione che raccontano di un passato lontano della comunità, il testo in versi del poeta popolare Pippo Bonaccorso.


IL BIANCO LAVORO

CICLO DEL GESSO



A parlarci della secolare ciclo del gesso, riferito all’estrazione del solfato nei calcio, di cui è ricca questa porzione dei Peloritani, al pari di altri pochi siti siciliani, pannelli fotografici, con l’indicazione, delle cave, delle fornaci e dei mulini, una vera e propria filiera di produzione a km 0. In più due tavole illustrative firmate da Pippo Crea, sulle diverse fase di lavorazione, e sull’impianto giunto fino a noi praticamente integro con la fornace più grande esistente in Sicilia per la cottura del gesso, sito lunga la stradina che conduce fino al fondo valle, dove insiste la dismessa stazione ferroviaria. Dalle tue tipologie di minerale, a scaglie e tabulare, fino al calco e statuetta di zampognaro, si riassume la storia del gesso, prima voce dell’economia e del lavoro per generazioni del panoramico casale di tramontana di Gesso. Nella sezione fa bella vista una bella carriola di legno ricolma di minerali, con picconi e la cosiddetta palamina, un’asta di ferro a taglio e punta, per ricavare i condotti sulle pareti di cava, dove collocare la dinamite e frammentare il minerale.

A ricordo dei carusi (ragazzi)nel trasporto delle pietre poste sulla nuca, dalle cave alle Fornaci, anche due pitture di tavola di Aurelio Valentini, con i bozzetti preparatori.

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U CIARAMIDDARU


Lo zampognaro peloritano.

Sull’ampia vetrata sul giardino, sullo sfondo della, in trasparenza i motivi ornamentali colorati dei manufatti lignei pastorali, dove troneggia al centro con lo scapolare (un raro capo d’abbigliamento tradizionale, mantello con cappuccio) lo zampognaro, figura simbolo della cultura pastorale peloritana.

Il suo arrivo era atteso per l’esecuzione, di casa in casa, dinanzi ai presepi domestici, della sonata pastorale, la tipica novena, replicata lungo i 9 giorni, che separano l’arrivo della festa del Natale. Il suono della ciaramedda costituiva dunque l’espressione musicale più radicata e sentita, antica eredità della cultura messinese, in grado di dialogare fra colto e popolare.

La zampogna ‘a paro’, tuttavia, non si zittiva dopo il sonoro mese di dicembre, continuava infatti a risuonare, con spirito profano, in occasione del Carnevale, per la stagionale tosatura delle pecore, e ancora, in occasione della Vendemmia, incarnando lo spirito liberatorio e socializzante della festa, eredità dei remoti riti dionisiaci.


MADONNE E SANTI IN FESTA


Feste patronali.

Altrettanto interessante l’immersione nel mondo della festa patronale, nel nome di Santi e Madonne, raccontata da una sequenza di foto sulle feste di area peloritana, tratte da un reportage sul campo firmato sul finire degli anni novanta dal compianto caro amico Giovanni Irrera. A contrappuntare il repertorio iconografico, stampe popolari di devozione, statuine, ex voto, un singolare rosario modellato con il gesso, ancora le luminarie della festa, i pani di S Giuseppe, con segni e simboli anche della passione di Cristo, provenienti da Spadafora, e ancora ex voto anatomici in argento, e biscotti della festa.

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TESTIMONIANZE