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Sala 2 - Poseidone


Nel segno del suono mitologico della tromba di conchiglia, collegato a Tritone, figlio di Poseidone, inizia il viaggio alla scoperta dei dimenticati territori di cultura di tradizione dell’area peloritana. Ad attestare la centralità del suono nei diversi contesti di lavoro e di festa, con funzioni segnaletiche e rituali, la Sala II propone anche l’incontro con la famiglia dei flauti di canna e di legno, per poi passare a quelli doppi e tripli e al flauto di Pan. A fronteggiarsi ecco le trasgressive maschere carnevalesche e le penitenziali figure cerimoniali della settimana santa. Ad irrompere c’è poi la vendemmia, dove lavoro contadino e festa s’incontrano e si esaltano anche con suoni e canti, richiamando i rigeneranti e liberatori riti dionisiaci dell’antico Mediterraneo. Le neviere, ci riportano poi al paesaggio peloritano invernale, alla secolare trasformazione della neve in ghiaccio per usi alimentari e sanitari. Senza dimenticare di raccontare la singolare storia di emigrazione degli ibbisoti ad Hammonton nel New Jersey in America, all’indomani dell’Unità d’Italia. A richiamare i suoni del paesaggio peloritano ci sono anche le tabelle ad ante, le raganelle e le sonagliere delle cavalcature.


AEROFONI

TROMBE DI CONCHIGLIA


Arcaici aerofoni, assieme ai corni bovini e dei montoni e dei caproni, le trombe di conchiglia, appartenenti alla famiglia mediterranea delle Charonie nodifere, dette anche Tritone, a ricordo dell’omonima figura mitologica, hanno svolto funzioni segnaletiche e rituali per secoli. Oggi l’arcaico suono si espande, con un singolare ostinato ritmico, dalle valenze rituali, a ricordo di una battuta di caccia, accompagnato dal battito ritmico del rullante, in occasione della sfilata della maschera carnevalesca dell’Orso di Saponara, scandita dal corteo storico del principe Domenico Alliata, a cui la tradizione ricollega la cattura del feroce animale. Altro antico uso rituale della tromba di conchiglia è attestato per il cosiddetto charivari, l'estemporaneo e aleatorio strepitio sonoro di disapprovazione, con accensioni di fumiggi, di fumi fastidiosi, sotto le finestre del vedovo risposato, a difendere l’onore della moglie morta. La brogna o trumma, così è detta la tromba di conchiglia in siciliano, la si ritrova anche nei palmenti, mulini e neviere come strumento da segnale.

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AEROFONI

FLAUTI DIRITTI DI CANNA E DI LEGNO - SEMPLICI


Compagno fedele dei pastori-suonatori peloritani, il flauto diritto di canna costituisce uno dei tratti distintivi della pratica strumentale di tradizione di area siciliana, soprattutto in area centro-orientale. Sulla base delle ricerche etnorganologiche, si sono rilevate  due diverse tipologie organologiche, con 6 fori digitali anteriori e uno posteriore e quelli con 7 fori e 2 posteriori. Davvero ricca la collezione di flauti proposti dal museo, che comprende le due diverse tipologie, e ancora rari esemplari in legno di erica e sambuco, con le tipiche decorazioni incise a punta di coltello.


AEROFONI

FLAUTI DIRITTI DI CANNA - DOPPI E TRIPLI

FLAUTI DI PAN



Il territorio peloritano si configura come area elettiva per l’uso secolare di tutta la famiglia degli aerofoni pastorali. Restando nell'ambito dei flauti, la Sala II, offre una ricca collezione di flauti doppi e tripli, oltre tre esemplari di flauti di Pan o siringhe, copie filologiche di quelli esposti a fine Ottocento da Giuseppe Pitre’ a Palermo, provenienti da Aragona (Agrigento) e Castroreale (Messina). Il flauto doppio, a parte il caso singolare di Librizzi, sui Nebrodi, in area peloritana, a parte la testimonianza giunta da Peppe De Salvo, assolveva a funzioni come dire propedeutiche a quelle della zampogna, non a caso le sonate eseguite dallo strumento erano detto ciaramiddate. Un vero e proprio caso di archeorganologia è invece quello del flauto triplo, rigenerato organologicamente e musicalmente, sulla base dell’iconografia fra Cinque e Seicento, dal costruttore-suonatore di Galati Mamertino, Pinelli Drago.

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IDIOFONI

SCACCIAPENSIERI - TABELLE AD ANTE - RAGANELLE - CATENE PENITENZIALI - CAMPANACCI


Una delle famiglie organologiche più numerose della tradizione peloritana è certamente quella degli idiofoni, strumenti da suono, modellati con legno o ferro battuto, funzionali ad ambiti di festa e cerimoniali. Ci riferiamo, nella fattispecie, alla ricca collezione di scacciapensieri, provenienti anche da altre culture tradizionali, anche extraeuropee, legati in Sicilia, alla figura del carrettiere. Si osservano poi le raganelle, le tabelle ad ante di legno e maniglie di ferro, connesse ai rituali penitenziali della settimana santa, alle catene penitenziali, sullo sfondo della maschera pasquale del Diavolo di Prizzi (Palermo). Non mancano a ricordare il suono pastorale, i campanacci per ovini e caprini, che per devozione venivano poste al collo degli animali, dopo il silenzioso inverno, il sabato santo.


IL CARNEVALE NELLA TRADIZIONE SICILIANA

MASCHERA DELL'ORSO DI SAPONARA E SUONATORE DI TROMBA DI CONCHIGLIA


Sulla scena carnevalesca della tradizione siciliana, la maschera dell’Orso di Saponara, seguito dalla corte principesca, costituisce uno dei cerimoniali festivi profani di più antica memoria, richiamando un fondo rituale arcaico europeo, dove la figura selvatica e temibile dell'Orso, era al centro di un vero e proprio culto.

L’origine del cerimoniale carnevalesco del centro vallivo dei Peloritani, unico nel suo genere in Sicilia, fra tradizione e storia,si fa risalire al principe Domenico Alliata, signore di quelle terre nella prima metà del Settecento, che liberò, secondo il racconto popolare, stanandolo e portandolo in catene in paese, accompagnato dal suono liberatorio delle trombe di conchiglie, un feroce orso, ponendo fine alle sue scorribande a danno delle comunità agropastorali dei Peloritani.

La partecipazione sonora di un gruppo di suonatori di trombe di conchiglia a stretto contatto con il gruppo dell’Orso, - tenuto in catene, rabbonito con il nervo dal domatore, e scortato da due cacciatori, annunziato dal fragoroso suono dei suoicampanacci, aggressivo e in cerca di prede femminili, - è l’unica attestazione d'uso rituale paramusicale, (un ostinato ritmico scandito dal battito di un rullante), dell’arcaico aerofono in tutto il bacino del Mediterraneo, oltre che nell’area continentale europea.

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LA SETTIMANA SANTA IN SICILIA

FIGURE CERIMONIALI,

SUONI E CANTI


A contrapporsi alla trasgressiva e selvatica maschera dell’Orso di Saponara, trionfo del Grasso e degli eccessi carnevaleschi,nella Sala II,ci sono le penitenti figure cerimoniali della Settimana Santa della tradizione siciliana. Alla rifondazione utopica della società affidata alle azioni carnevalesche, segnate dal mascheramento e da un mondo alla rovescia, subentradunque il magro della Quaresima, fino ai riti che rievocano la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo, ancora oggi riconosciuti da tutte le comunità come esclusivo patrimonio identitario.

 A dominare fra tutte, il trasgressivo Giudeo di San Fratello, con il suosingolare costume e maschera, dai tratti figurativi tra il semiselvatico e il demoniaco, che turba con i suoni irridenti della sua cornetta, il clima penitenziale della settimana santa dsa mercoledì, per poi ‘convertirsi’ il Venerdì Santo, quando lo ritroviamo a portare a spalla il fercolo del crocifisso. A fare compagnia al Giudeo, anche il confrate di Maria e Gesù di Castroreale, con corona di spine e disciplina, quello delle anime del purgatorio e quelli del SS.Sacramento, rispettivamentedi Longi e Alcara Li Fusi  Sacramento di Longi. Anche nei contesti cerimoniali di tradizione della Settimana Santa, c’è da annotare il ricorso a forme sonore aleatorie segnaletiche e penitenziali affidate a traccole, raganelle, catene, e ad un ampio repertorio di canti polivocali maschili e monodici femminili, oltre ai tamburi ‘a morto’, come il rullante che osserviamo fra le mani del confrate penitente di Alcara Li Fusi.


LA VENDEMMIA PELORITANA

GESTI DI LAVORO

E CANTI


Uno dei caratteri distintivi del percorso museale è l’interazione, secondo il ciclico fluire delle scadenze stagionali contadine, fra i contesti dominati dall’immaginario popolare, raccontato da suoni, azioni rituali e figurecerimoniali dei contesti festivi canonici, e la fatica dei lavori agricoli uniti spesso anche a momenti di festa estemporaneacollettiva. È il caso della  Vendemmia, raccontata nell’esposizione museale da unacospicua raccolta di utensili di lavoro e da repertori iconografici, che ci guidano fra i filari dei vigneti,risuonanti di voci e canti, animati dalla presenza femminile cui si affidava la raccolta dell’uva, portata poi nei palmenti, per la pigiatura, in capienti ceste, soprattutto, sul versante meridionale dei Peloritani, daijurnatari (cofanari) preceduti da un suonatore di zampogna ‘a paro’, che accompagna i loro canti d’amore polivocali. Una straordinaria testimonianza questa, che ci restituisce la memoria più antica, attestata anche dalle pitture vascolari siceliote del II III sec a. C. dei riti liberatori dionisiaci, nel segno della danza, del suono e del vino che innebria e rinnova lo spirito umano, in una dimensione altra, consonante con gli spiriti guida della Natura.

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LE SECOLARI NEVIERE


Sulla cuspide nordorientale dei Peloritani, che degrada fino a Capo Peloro, dunque a tu per tu con Cariddi, temibile mostro marino, eScilla, dalle sette teste, - figure mitologiche a guardia dello Stretto - sui crinali, a quote non inferiori ai 700 mt di altitudine, è possibile ancora oggi osservare, sebbene in molti casi celate in gran parte dalla vegetazione, delle ampie neviere a conca, rivestiti da muri a secco. Erano queste le ccosiddette'fossi a nivi', dove si raccoglieva e si compattava la neve, trasformandola in ghiaccio, per poi, trasferirla in città, per usi sanitari ed alimentari. Il commercio della neve, per scelta del senato messinese, già nel Cinquecento, non era libero, ma sottoposta a concessione esclusiva, pluriennale, e ad un rigido regolamento il ‘partito della neve', con l’indicazione dei prezzie dei luoghi dove reperire il ghiaccio, replicato anche dopo l’Unità d’Italia. Nella Sala II è possibile osservare una neviera in scala e un doppio pannello con scheda informativa e  con cartina con i siti delle neviere da Croce Cumia a Monte Scuderi.


DA GESSO A HAMMONTON

L'EMIGAZIONE DEGLI IBBISSOTI IN AMERICA


Il Casale di tramontana di Gesso, a differenza degli altri quarantotto casali Peloritani, vanta una singolare storia di emigrazione verso l’America, che ha inizio all’indomani dell’Unità d’Italia. Il primo a credereal sogno americano è Matteo Campanella, che, per sfuggire alla leva obbligatoria imposta dal nuovo ordinamento statuale, si nasconde per sei mesi in città, per poi attraversare da clandestino l’oceano Atlantico, sbarcare a New York, e spingersi nel piccolo centro rurale di Hammonton, nella contea di Atlantic City, nel New Jersey. Questa sarà la terra promessa per molti ibbisoti, che formano presto una numerosa comunitàsiculo-americana, attestando una graduale e singolare storia di riscatto, emancipazione ed integrazione sociale, culturale ed economica. E tra le tante storie di questo ininterrotto legame con la terra madre, anche quella della famiglia dell’attuale first lady americana, Jll Biden, i cui bisnonni, Gaetano Giacoppo e Concetta Scaltrito, sono partiti da Gesso in cerca di fortuna in America, nell’ultimo quarto di secolo dell’ottocento. Ampia e articolata la sezione documentaristica e bibliografica che la Sala Poseidone riserva a questastoria speciale legame tra Gesso ed Hammonton, confermato dalle periodiche visite di americani di quarta e quinta generazione alla ricerca delle loro radici.

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TESTIMONIANZE